Con la pandemia milioni di italiani sono passati dal lavoro in ufficio a quello a distanza, un cambiamento epocale che molte aziende hanno deciso di continuare a sostenere anche dopo l’emergenza sanitaria, in modo integrale o parziale. Nonostante lo smart working abbia numerosi vantaggi, soprattutto in ambito ambientale nell’ottica delle città sostenibili del futuro, è innegabile come esistano anche degli svantaggi nello smart working.
Secondo quanto emerge dal policy brief “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, realizzato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), il 55% dei lavoratori esprime un giudizio positivo sull’esperienza complessiva del lavoro da remoto, ma su alcune specifiche questioni le valutazioni sembrano evidenziare criticità. In particolare, per oltre il 60% delle persone che lavorano da remoto un problema è l’aumento dei costi delle utenze domestiche a causa dello smart working.
Questo aspetto è particolarmente sentito dagli smart worker in seguito ai rincari di luce e gas degli ultimi mesi, dovuti soprattutto alle tensioni geopolitiche e al conflitto tra Russia e Ucraina. Tuttavia, esistono delle soluzioni per risparmiare sul consumo di energia elettrica e di gas, per rendere il lavoro da casa meno costoso e contenere l’incremento della spesa per le utenze domestiche.
Quali sono i principali svantaggi dello smart working?
Uno dei primi svantaggi riguarda l’aumento dei costi domestici. Lavorando da casa, infatti, si consumano più energia elettrica, gas e connessione internet.
Oltre alla spesa energetica, vanno considerati altri aspetti:
- Aumento dei costi personali: oltre all’energia, lo smart worker deve sostenere spese aggiuntive per dispositivi elettronici, arredi ergonomici, consumabili per la stampa o strumenti di connessione.
- Difficoltà di separare lavoro e vita privata: la casa diventa un unico ambiente per vita personale e attività professionale, con il rischio di ridurre i momenti di pausa e aumentare lo stress.
- Maggiori responsabilità nella gestione delle risorse: il lavoratore deve occuparsi in autonomia di allestire e mantenere la postazione di lavoro, gestendo aspetti come connessione, sicurezza informatica e manutenzione degli strumenti.
Inoltre, sebbene lo smart working elimini i costi e i tempi di spostamento, può ridurre la socialità e l’integrazione con il team aziendale, con possibili ripercussioni sul senso di appartenenza e sulla collaborazione.
Infine, non tutti i datori di lavoro riconoscono rimborsi spese per le utenze domestiche, lasciando i costi energetici interamente a carico del dipendente. Per questo è fondamentale valutare le tariffe luce e gas più convenienti o tariffe aziendali agevolate, così da ridurre l’impatto economico dello smart working sulle famiglie.
Quanto costa lo smart working alle famiglie italiane?
Secondo alcuni dati riportati da Il Sole 24 Ore, uno smart worker full time deve affrontare un aumento del consumo di energia elettrica di circa il 10%. Considerando il consumo medio di una famiglia di 4 persone di 2700 kWh, si tratta di circa 270 kWh l’anno di elettricità in più per lavorare da casa, per una spesa aggiuntiva di circa 135 euro l’anno ipotizzando un prezzo dell’energia elettrica di 0,50 euro al kWh, tenendo conto dell’aumento di luce e gas nel 2022.
Chi si debba far carico delle spese aggiuntive legate allo smart working per l’home office dei dipendenti è un punto ancora non chiaramente definito, anche perché la regolamentazione di questa modalità di lavoro è relativamente recente. Ad ogni modo, è evidente l’impatto dello smart working in bolletta, un costo addizionale che per i lavoratori autonomi rimane completamente a carico del professionista, mentre nel caso dei dipendenti dovrebbe essere sostenuto dal datore di lavoro.
Tuttavia, non è facile distinguere i costi per l’energia elettrica utilizzata per lavorare da quelli relativi alle esigenze personali e familiari. Alcune aziende, ad esempio, offrono un rimborso forfettario ai dipendenti, per coprire le spese della connessione internet, dell’energia e l’eventuale acquisto dei dispositivi elettronici per il lavoro a distanza. Questo sistema non è però uniforme, lasciando molto spazio agli accordi individuali esponendo alcuni lavoratori a una posizione di vulnerabilità.
D’altro canto, bisogna comunque considerare il risparmio ottenuto da un dipendente che lavora da remoto, il quale ad esempio evita di prendere l’auto o i mezzi pubblici per andare a lavoro. Sempre secondo Il Sole 24 Ore, il risparmio sulle spese per la mobilità di uno smart worker può arrivare fino a 1.800 euro l’anno, tenendo conto di una media di circa 9 giorni di lavoro a distanza al mese.
La legislazione italiana sullo smart working
Lo smart working in Italia è disciplinato dalla Legge 81/2017. Con l’emergenza pandemica scoppiata nel 2019 sono stati varati alcuni decreti che hanno introdotto nuove regole per il lavoro agile. Inoltre, sono stati firmati accordi nazionali sul protocollo di funzionamento del lavoro agile, sia nel settore pubblico sia in quello privato.
La normativa prevede che per passare al lavoro agile sia necessario un accordo scritto tra datore di lavoro e dipendente, il quale deve stabilire durata, condizioni del recesso, modalità di esecuzione della prestazione e strumenti tecnologici utilizzati, nel rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore.
Durante l’emergenza sanitaria è stata introdotta la procedura semplificata per l’accesso al lavoro agile, che non prevede di stipulare un accordo scritto con il lavoratore; infatti le aziende possono adottare questa modalità semplicemente inviando una comunicazione al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali utilizzando l’apposita piattaforma. Per le aziende private la procedura semplificata è in vigore fino al 31 agosto 2022.
Sebbene diverse imprese abbiano previsto bonus e incentivi per i propri dipendenti, per l’acquisto di strumenti e il rimborso delle spese per il lavoro remoto, rimangono molti i vuoti normativi specialmente dal punto di vista fiscale. La normativa fiscale è infatti ancora inadeguata rispetto al lavoro da remoto per motivi diversi. Uno di questi buchi normativi riguarda proprio le bollette delle utenze.
Chi la paga le bollette in smart working?
L’Agenzia delle Entrate, rispondendo a un chiarimento richiesto da uno studio di ingegneria nel maggio 2021, fa sapere che «i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente», quindi che sia tassato.
In particolare, se gli oneri sostenuti dal lavoratore e rimborsati dall’azienda sono nell’esclusivo interesse dell’impresa, i rimborsi spese non vengono tassati e non contribuiscono all’imponibile Irpef. Per quanto riguarda invece chi paga i costi delle utenze domestiche dei lavoratori in smart working, le aziende non sono obbligate a rimborsare le spese per l’energia elettrica e il gas, in quanto sono servizi utilizzati anche per esigenze personali del lavoratore.
In linea generale, con lo smart working i costi per il dipendente relativi a luce e gas sono a carico del lavoratore stesso, a meno che l’azienda non riconosca un rimborso per tali spese. Naturalmente, il lavoratore è libero di scegliere la fornitura di energia elettrica e gas che preferisce; quindi può comunque risparmiare scegliendo un’offerta gas e luce con una tariffa conveniente sul mercato libero dell’energia e recuperare parte o tutti i costi aggiuntivi.
Come gestire al meglio i costi aggiuntivi del lavoro da casa?
Lo abbiamo già detto: con lo smart working, molte spese che in precedenza erano sostenute dal datore di lavoro ricadono direttamente sul dipendente. Gestire al meglio questi costi aggiuntivi è fondamentale per mantenere l’equilibrio tra risparmio, benessere e produttività.
Il primo passo è mappare le voci di spesa legate al lavoro da remoto, tra cui:
- energia elettrica e gas (illuminazione, riscaldamento/raffrescamento, dispositivi elettronici);
- connessione internet stabile e veloce;
- manutenzione o acquisto di dispositivi tecnologici (PC, stampanti, webcam);
- allestimento ergonomico della postazione (sedia da ufficio, scrivania, illuminazione adeguata).
Una volta identificate le spese, è possibile agire su più fronti per ottimizzare i costi senza compromettere la qualità del lavoro:
- verificare la possibilità di rimborsi aziendali: alcune imprese offrono rimborsi forfettari o benefit per compensare almeno in parte le spese sostenute a casa;
- sfruttare le agevolazioni fiscali (dove previste): in certi casi è possibile detrarre una parte delle spese sostenute per l’home office, ad esempio nel caso dei lavoratori autonomi;
- monitorare i consumi: utilizzare dispositivi per il controllo dei consumi elettrici o soluzioni smart può rendere più consapevoli e favorire un uso efficiente delle risorse.
Infine, può essere utile ragionare in ottica di medio-lungo termine, valutando piccoli investimenti (come l’acquisto di elettrodomestici a basso consumo o l’installazione di pannelli fotovoltaici) che nel tempo possono generare un risparmio significativo.
Consumo energetico e Smart working: come risparmiare energia lavorando da casa
Considerando l’esempio precedente, con un consumo di 270 kWh l’anno per l’energia necessaria a lavorare da remoto, il costo dell’elettricità per lo smart working è di circa 135 l’anno, ovvero poco più di 11 euro al mese. Ovviamente, oltre alla spesa per l’energia elettrica ci sono altri costi da considerare, come la connessione internet, i dispositivi elettronici da utilizzare per l’attività lavorativa e l’allestimento della postazione.
Nonostante non si tratti di un costo proibitivo è possibile risparmiare adottando alcuni accorgimenti. Innanzitutto, come abbiamo visto è opportuno individuare forniture adatte al proprio fabbisogno energetico, ad esempio scegliendo bene tra tariffe a prezzo fisso e indicizzato, oppure tra offerte luce monorarie e biorarie.
Inoltre, è possibile adottare alcuni comportamenti di risparmio energetico, ad esempio non lasciando elettrodomestici e apparecchi elettronici in standby, ma spegnendoli sempre dall’interruttore, sostituire le vecchie sorgenti luminose con lampadine a LED a basso consumo e acquistare dispositivi della migliore classe di efficienza energetica. Potrebbe anche essere l’occasione per installare dei pannelli fotovoltaici, per produrre energia in modo sostenibile ed economicamente conveniente.
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